Menopausa e narrazione: un tentativo di fenomenologia clinica
04 dicembre 2025
“Sudo e resto insonne e, nel letto, con gli occhi sbarrati, brucio, proprio come una strega!” - ispirato al racconto di una donna.
Esistono trasformazioni che, pur radicate nella biologia, si comprendono solo se pensate con le categorie dell’esperienza. La menopausa – o più esattamente la fase del climaterio, nel suo estendersi temporale e psicocorporeo – appartiene a questa famiglia di mutamenti che non sono eventi puntuali ma processi di riscrittura della soggettività. È un luogo di passaggio in cui, per riprendere Rainer Maria Rilke, «la vita si svolge tra il non essere più e il non essere ancora», senza che vi sia una cornice linguistica e simbolica già pronta a contenerne il significato.
La biomedicina, per esigenze classificatorie, individua un punto preciso: dodici mesi dall’ultima mestruazione. Ma la precisione tecnica, pur necessaria, rischia di occultare l’essenziale: il tempo vissuto, l’intermittenza del sé, la ristrutturazione lenta e talvolta disordinata di ciò che chiamiamo identità corporea. Climaterio è un termine che, nella sua etimologia, suggerisce una scala, un gradino, un varco più che un esito; un paesaggio transitorio, interno ed esterno, non una diagnosi.
L’immaginario culturale ha storicamente interpretato questa soglia attraverso la categoria della perdita: perdita di giovinezza, di potenza generativa, di desiderabilità sociale. Simone de Beauvoir, ne Il secondo sesso, offre una delle rappresentazioni più radicali di questo statuto deficitario, definendo la menopausa una «mutilazione» e descrivendo la donna come «invasa dal terrore di invecchiare […] la luce interna si spegne; dopo la veglia rimane davanti allo specchio una donna invecchiata ancora di un giorno». È una visione potente, ma segnata da un paradigma in cui identità femminile e fertilità biologica coincidono quasi senza residui.
Oggi, però, quella equivalenza merita di essere interrogata: non perché sia “sbagliata”, ma perché non è più universale. La menopausa non coincide necessariamente con una marginalizzazione sociale né con una cesura esistenziale negativa; piuttosto, impone un lavoro di pensiero sulla possibilità di definire il soggetto femminile al di fuori dell’asse procreazione–validità. In questo senso, la questione non è biologica ma ontologica: cosa resta del soggetto quando l’ordine simbolico a cui si è aderito per decenni svanisce o si relativizza?
Germaine Greer aveva intravisto una possibilità alternativa parlando di “seconda metà della vita” come scena di ridefinizione e non di residuo; ma la sua prospettiva, ancora polarizzata tra resistenza e ribellione, non esplicita fino in fondo l’impianto epistemico necessario a pensare il divenire senza nostalgia né retorica dell’eroismo. Il punto forse decisivo è comprendere che il corpo menopausale non è un corpo che “perde”, ma un corpo che smette di coincidere con il suo ruolo precedente. Questo scarto non è un vuoto, ma uno spazio teorico.
Sul piano fenomenologico, la menopausa può allora essere letta come esperienza liminale del tempo interno: non più il tempo ciclico della fecondità né ancora il tempo lineare dell’invecchiamento irreversibile, ma un tempo differenziale, in cui il soggetto è chiamato a rinegoziare la propria unità psicofisica. Le vampate, l’insonnia, le variazioni dell’umore non sono meri “sintomi”: sono fenomeni, cioè manifestazioni attraverso le quali il corpo comunica che il regime precedente di senso non è più operativo. E certamente il medico può curare, ma, prima ancora, deve sapere leggere.
Se dunque il compito della clinica resta imprescindibile – perché la sofferenza non è mai un fatto simbolico – la dimensione interpretativa non può essere delegata. Senza riflessione, il corpo menopausale rischia di essere consegnato a un’alternativa sterile: o normalizzazione, o patologizzazione. In entrambi i casi si perde l’occasione per una comprensione più profonda del rapporto tra corpo e identità, tema su cui la filosofia e la medicina insieme devono tornare ad avere la parola.
Riferimenti bibliografici
1. de Beauvoir S. Il secondo sesso. Milano: Il Saggiatore / Bompiani; 1949. ISBN 978-8842822318.
2. Greer G. The Change: Women, Ageing and the Menopause. London: Penguin Books; 1991. ISBN 0-14-0126694.
3. Rilke RM. Lettere a un giovane poeta. [Trad. it.]. Milano: [Editore varie]; 1929. 4. Braidotti R. Il postumano. Roma: DeriveApprodi; 2013.
5. Butler J. Corpi che contano. Roma-Bari: Laterza; 1993.
6. Young IM. On Female Body Experience: “Throwing Like a Girl” and Other Essays. Oxford: Oxford University Press; 2005. ISBN 978-0195161939.
7. North American Menopause Society (NAMS). Menopause Practice: A Clinician’s Guide. 6ª ed. [S.l.]: NAMS; 2024. ISBN 978-0-578-53228-8.
8. Merleau-Ponty M. Fenomenologia della percezione. Milano: Il Saggiatore; 1945.
Dott.ssa L. Merlino, Ginecologo, Roma
Con l'approvazione del Consiglio Direttivo A.G.E.O.
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